Mimmo Ciavarelli

La difficile eredità di Perls

 

La Gestalt che Fritz Perls, il suo creatore, esprimeva nei suoi ultimi anni era un frutto maturo, la cui polpa andava mostrata, assaggiata, sperimentata, più che spiegata. Consapevole di questa profonda esigenza, nel suo ultimo libro, il Maestro evocò questo frutto, più che descriverlo: l’esplicito coprì e il sottinteso svelò. La direzione che Perls aveva tracciato per preservare il tesoro dell’esperienza dallo svilimento dei concetti non fu però seguito dai suoi successori, che spesso irrigidirono la sua ispirazione filosofica in teorie e la sua prassi in tecniche. Il profondo abuso di concettualizzazione che la Gestalt ha così vissuto, dopo la morte del maestro, ha prodotto revisionismi, distorsioni, tanto di quel capire che blocca il comprendere, tante di quelle gestalt che non sono Gestalt. Pensiamo alle gestalt teoretiche legate alle formulazioni intellettuali del primo Perls, molto vicine al tentativo di sistematizzare una teoria psicologica, e molto lontana dal vitalismo filosofico e sciamanico insito nell’ultimo lavoro di Perls. Oppure pensiamo alle gestalt revisioniste degli allievi del Perls californiano che rivisitarono la Gestalt originaria alla luce di eclettici accostamenti con le discipline più disparate, accentuandone gli aspetti esperienziali e tecnici. Nessuna delle due versioni, talvolta persino inopinatamente accostate in improbabili sincretismi, potevano rispecchiare ciò che la maturità artistica di Perls aveva testimoniato nella sua pienezza. Si limitarono, infatti, a sfruttarne l’eredità, rappresentandone sviluppi da lui abbandonati o mai intrapresi. Altri tentarono, invece, di seguire la ricerca esistenziale e professionale di Perls con gli esiti più vari. Semplici imitazioni o sinceri percorsi umani, talvolta apprezzabili, talvolta meno, ma tutti legati allo sviluppo personale più che a quello intellettuale o teorico: allievi della prima ora come Bob Hall, John Stevens, James Simkin, Jack Dawning, Claudio Naranjo, Natasha Mann, Isha Bloomberg, noti anche a livello internazionale e tanti altri, di seconda e terza generazione che, seppure meno noti non furono meno valorosi. Fuono tentativi importanti, che, al di là della riuscita, hanno tenuto viva l’idea di una possibilità rigorosa per una disciplina dell’essere.

Ai nomi citati, voglio aggiungerne uno, a me particolarmente caro e a cui desidero riservare una speciale menzione, perché è stato mio maestro. Parlo di Barrie Simmons, americano trapiantato in Italia negli anni ’70 e scomparso nel 2006, universalmente ricordato per aver introdotto nel nostro paese la Gestalt e soprattutto per averne incarnato magnificamente lo spirito. Personalità straordinaria, anche Simmons ha lasciato una difficile eredità, per certi versi ancora più radicale di quella di Perls. Penso al rifiuto della deriva istituzionale e retorica e alla scelta della trasmissione rigorosamente diretta, assolutamente libera dalle necessità che ogni scuola richiederebbe. Per non parlare dell’enfasi sulla pratica della posizione esistenziale del terapeuta e della concezione della professione di psicoterapeuta come via di evoluzione personale. Non è possibile, infatti, equiparare la Gestalt alle tante discipline che vengono tradizionalmente insegnate senza sottrarle la vocazione di originale posizione da trasmettere. Nel passaggio all’istituzionalizzazione, la natura stessa della Gestaltsi dissolve. È un processo che sostituisce la pratica della trasmissione con quella della didattica e scambia la faticosa ricerca personale della posizione terapeutica con quella più accessibile, ma fuorviante, di prassi standardizzate. E ancora, confonde l’azione creativa della posizione vuota con un metodo da apprendere, e confonde discorsi di stile gestaltico con la Gestalt stessa. Un lascito così preciso nei contorni e nella definizione non può essere né ignorato né seguito facilmente. Tuttavia sarebbe un errore gravissimo se le mie parole contribuissero all’iconizzazione dei Maestri. Essi rischiano, infatti, di diventare, nell’immaginario di molti, modelli inimitabili, secondo l’inveterata consuetudine di mettere in risalto l’unicità della persona, per poi disattenderne la difficile eredità. Imboccare scorciatoie, deviazioni, anziché riprendere un cammino solitario, forse frustrante, ma che divenga per ciascuno, di generazione in generazione, un lungo, faticoso, percorso personale verso la conclusione della propria Gestalt.

 

 

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